Come cambia la leadership d’impresa nell’epoca dell’AI
Di Andrea Gianotti e Fabio Moioli (*)
9 luglio 2025
Saper governare le organizzazioni attraverso la tecnologia, per generare valore. Curiosità intellettuale, coraggio trasformativo e gentilezza autorevole devono essere i tratti distintivi dei CEO

Immaginiamo di leggere un libro di fantascienza. È una tiepida mattina di luglio del 1975 e il CEO di un’importante multinazionale sta facendo colazione a casa, sfogliando un quotidiano in attesa di andare in ufficio per annunciare al board un altro trimestre di crescita, nonostante il perdurare della crisi energetica internazionale dovuta alle tensioni in Medio Oriente.
Un altro CEO, ma della stessa azienda, sta invece scorrendo le mail sullo smartphone in una torrida mattina di luglio del 2025 mentre beve un caffè, pronta per una riunione online nel quale annuncerà al board un trimestre di ottime performance, nonostante il perdurare dell’instabilità dei mercati globali dovuta alle tensioni in Medio Oriente.
Per un fenomeno paranormale, che l’autore spiega senza troppi dettagli, i due si scambiano di ruolo, epoca, problemi.
La trama, parecchio banale, non promette niente di interessante e chiudiamo il libro, ma continuiamo a pensare al CEO di 50 anni fa che di punto in bianco, si trova alla guida di un’organizzazione contemporanea. Sarebbe in grado di riuscire nel ruolo?
Ecco, riportiamo il problema non a decenni, ma ad anni fa, forse addirittura a qualche mese. Lo scenario competitivo, guidato dalla tecnologia, cambia così rapidamente che c’è da chiedersi quali siano le caratteristiche – e le competenze – che fanno di un buon CEO un ottimo CEO. Non ieri, ma oggi.
Il valore strategico dei dati
Innanzitutto, per le organizzazioni contemporanee diventa cruciale disporre di informazioni quantitative affidabili, complete, continue. I leader devono quindi sapere integrare nel loro processo decisionale i dati strategici, sapendoli selezionare e capirne gli insight. Gli strumenti di intelligenza artificiale sono potenti tool che permetto di agevolare, velocizzare e rendere più preciso il lavoro, e per questo vanno conosciuti e valorizzati per quello che sono: strumenti di lavoro, appunto, come in passato lo erano le schede perforate o le macchine da scrivere.
Tuttavia, la leadership deve essere data-driven, senza delegare l’attività all’algoritmo. Non occorre che i CEO siano esperti di data science, ma è imprescindibile che sappiano comprendere quali sono i dati fondamentali per garantire il vantaggio competitivo all’azienda, anche andando oltre i KPI abituali.
Dalla centralità del processo a quella del dato
È dunque precisa responsabilità del leader assicurare una data governance solida e trasversale che permetta all’intera organizzazione di crescere con la cultura del dato. Già, perché è un compito proprio del capo-azienda quello di assicurare accuratezza e uso strategico delle informazioni, passando dalla centralità del processo (“abbiamo sempre fatto così”) alla centralità del dato come perno decisionale. Il processo viene così semmai progettato per acquisire, correlare, arricchire e visualizzare le informazioni.
Sono i leader che definiscono le regole per l’accesso, la condivisione e l’uso dei dati, garantendone la qualità e allineando gli incentivi tra le funzioni. Senza un modello di gestione efficace e coerente, basato su responsabilità e conformità, non ci sono insight (i quali determinano il vantaggio competitivo), ma solo rumore che amplifica gli errori decisionali.
Dal gergo tecnologico all’impatto organizzativo
Anche i leader spesso si riempiono la bocca – e le slide – di parole “tecnologiche” senza veramente capirne il significato profondo di business. Talvolta solo considerandole una moda funzionale alla comunicazione di brand, apparendo “più avanti della concorrenza” perché si investe – o in questi casi si spende e basta – in digital twins, blockchain o LLMs.
Il vero divario, quindi, non è tra chi è esperto di tecnologia e chi no: è tra chi ha una visione e cultura digitale (cioè sa anticipare come l’innovazione cambia i mercati e gli scenari competitivi, comportamenti di clienti e consumatori) e chi invece non la possiede. Vince, dunque, solo chi riesce a trasformare la tecnologia in risultati tangibili come una migliore esperienza del cliente, l’ottimizzazione dei margini o l’agilità operativa.
L’intelligenza artificiale sta potenziando elementi quali la modellazione di scenari, le previsioni e il monitoraggio degli indicatori, ma il cuore della leadership rimane sempre profondamente umano. Intuizione, empatia, etica, cultura aziendale sono elementi centrali della capacità di guidare le aziende. Lo erano in passato e lo saranno anche in futuro, senza che possano essere delegati all’algoritmo, se non aspettandosi risultati disastrosi nel lungo periodo. L’AI è dunque un partner strategico, un forte acceleratore, un organizzatore delle decisioni ma sarà la leadership centrata sull’essere umano quella che farà prosperare ed affermare le aziende.
Le caratteristiche della leadership
I tratti tipici dei CEO del 2025 devono essere: la curiosità intellettuale, ossia il desiderio costante di apprendere e mettere in discussione le proprie idee e convinzioni; il coraggio trasformativo, cioè non la semplice resilienza e l’adattamento ma la capacità di progettare – e realizzare, il cambiamento; e infine, non meno importante, la gentilezza autorevole, ossia l’equilibrio tra empatia e decisione che costituisce una cultura votata al progresso.
Non sappiamo dunque dire con certezza se il nostro CEO del 1975 sia o meno in grado di rispondere a tutti questi requisiti. C’è un fattore profondamente umano nella leadership di successo e questo forse ha poco a che fare con le epoche storiche, nonostante la cultura aziendale – di qualunque organizzazione – si sia radicalmente trasformata in soli 50 anni. Ma ci sono anche elementi tipici della leadership contemporanea che derivano dalla capacità di adattamento rapido al contesto mutevole, e che oggi sono elementi imprescindibili. A partire dalla capacità di saper passare dalla centralità del processo a quella del dato.
(*) Fabio Moioli è un esperto riconosciuto a livello internazionale nel campo dell’Intelligenza Artificiale e della Leadership. Attualmente consulente nella practice Technology di Spencer Stuart, nel corso della sua carriera ha ricoperto ruoli di vertice in aziende quali Microsoft, Capgemini, McKinsey ed Ericsson.
Andrea Gianotti è Responsabile del Centro Studi de Il Sole 24 Ore, curatore dei prodotti 24ORE Ricerche e Studi, cofondatore di InfoData e docente presso Sole 24 ORE Formazione.